Schilpario
near I Fondi, Lombardia (Italia)
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Monte Gardena, rifugio Campione e monte Campioncino dalla località Fondi di Schilpario, unica difficoltà il monte Gardena, sia in salita che in discesa non ho trovato sentieri e sono salito e sceso dai pendii erbosi. D' estate la strada della val di Scalve e aperta e si può parcheggiare al rifugio Cimon della Bargozza, abbreviando il percorso di circa cinque chilometri
Alcuni teologi credono che Dio non abbia creato dal nulla il corpo del primo
uomo, ma che si sia valso per formarlo dei cieli e degli elementi. Alcinoo, che
seguiva la dottrina di Platone, è anch’esso di tal parere e crede Iddio creatore
soprano dell’universo delle divinità e dei demoni, esse tutte che sono
immortali, mentre le divinità inferiori hanno creato il resto e tutti gli animali, i
quali, se fossero stati creati da Lui, sarebbero Stati egualmente immortali. Le
divinità minori dunque, mescolando elementi tratti dalla terra, dal fuoco,
dall’aria e dall’acqua e amalgamandoli, ne hanno composto un involucro per
l’anima, attribuendo a ciascuna caratteristica dell’anima una data parte del
corpo, come la collera al cuore e la concupiscenza al ventre, e riservando alla
testa i sensi più nobili e gli organi della parola.
I sensi si dividono in esteriori e in interiori. Gli esteriori sono cinque e ben
noti a tutti e i più puri sono quelli collocati nelle parti più elevate del Corpo.
Primo fra tutti la vista, che si esercita mercé gli occhi, posti nel luogo più
elevato del corpo e alimentati naturalmente dalla luce e dal fuoco naturale.
Seguono le orecchie, comparabili all’aria; poi le narici che occupano il terzo
posto tra l’aria e l’acqua; poi l’organo del gusto, più grossolano e affatto simile
all’acqua, infine, all’ultimo posto, il tatto che è diffuso a tutto il corpo e a cui si
attribuisce la grossolanità e la pesantezza della terra.
I sensi più puri sono quelli che, senza accostarsi troppo alle cose naturali, ne
hanno la percezione e ne restano impressionati. Tali la vista e l’udito. Anche
l’odorato funziona senza contatto immediato, ma il gusto invece non
percepisce nulla di ciò che gli è lontano. Il tatto ha le due qualità perché esso
sente i corpi che gli si avvicinano e come la vista scorge le cose da lontano,
così pure esso, con l’aiuto d’una verga o d’un bastone, percepisce senza
contatto immediato le cose dure o molli o umide. Il tatto è comune a tutti gli
animali, ma nell’uomo è più sicuro e lo stesso dicasi del gusto che nell’uomo è
più delicato. Molti altri animali però hanno gli altri tre sensi più sviluppati che
nell’uomo.
Così il cane vede ode e odora meglio dell’uomo e le linci e le aquile hanno la
vista più acuta di quella di altri animali e dell’uomo.
I sensi interiori, secondo l’opinione di Averroe, sono quattro e il primo è
detto senso comune, perché riceve raccoglie e perfeziona tutte le immagini
percepite coi sensi esteriori. Il secondo è la virtù immaginativa, che ha il
compito di ritenere le immagini ricevute dai primi sensi e di trasmetterle a una
terza specie di senso, che è la fantasia, o la forza e il potere di crescere e di
pensare. La fantasia ha il compito, una volta ricevute le immagini, di
comprenderle e di giudicarne la provenienza, confidando poi alla memoria, che
è il quarto senso interiore, le sensazioni coordinate comprese e giudicate. La
fantasia ci fa scorgere in sogno gli eventi futuri. Essa costituisce l’ultima orma
dell’intelligenza, perché, come dice Giamblico, essendo nata da tutte le forze
dello spirito, crea ogni sorta d’immagini di rassomiglianze e di atteggiamenti e
fa credere ciò che vien mostrato dai sensi e ciò che proviene dall’intendimento.
Essa riceve da tutti gli altri sensi le immagini, le riunisce, le avviva, le pone a
confronto, plasma o crea tutti i moti dell’anima, coordinando quelli esteriori con
gli interiori, e impressiona i corpi.
Tutti questi sensi hanno i loro organi nella testa. Il senso comun
abbia preteso esser il cuore l’organo generativo del senso comune; il pensiero,
o la facoltà di pensare, occupa la sommità e il mezzo del cervello e la memoria
la parte posteriore. Gli organi della voce sono multipli: l’interno del petto tra le
costole, i muscoli, il torace, il polmone, la trachea, la gola. La bocca è l’organo
generativo della parola; la lingua articola il suono con lo schiudersi dei denti e
delle labbra, a somiglianza delle corde della lira. Il naso infine contribuisce alla
formazione di un suono buono o cattivo.
Al di sopra dell’anima che esplica le sue forze per mezzo degli organi del
corpo, il posto supremo è tenuto dalla mente incorporea stessa. Tale spirito ha
due sorta di nature. L’una, che ricerca le cose contenute nell’ordine della
natura, scrutandone le cause le proprietà e i progressi, che consiste nella
contemplazione e nella ricerca della verità e che per tal motivo viene chiamata
lo spirito contemplativo. L’altra che discerne le cose da compiere o da evitare,
che non è intenta che a consultare e ad agire e che perciò vien chiamata
l’intelletto lo spirito o l’intendimento attivo.
La natura ha dunque fatto si che mercé i sensi esteriori sia possibile
conoscere le cose corporali e mercé i sensi interiori anche le similitudini dei
corpi ed infine per mezzo della mente o intelletto le cose che non sono corpi né
alcunché di simigliante a un corpo. Seguendo queste tre specie d’ordini di
possanze dell’anima, nascono nell’anima tre sorta di appetenze. La prima è
naturale ed è una certa inclinazione della natura a tendere alla sua fine, così
come la pietra tende a cadere al basso, inclinazione che si riscontra in tutte le
cose; la seconda è animale, segue i sensi e si divide in irascibile e
concupiscibile; la terza è intellettuale, si chiama volontà, è differente dal
sensitivo in quanto non esiste che per sé stessa e non appetisce nulla di ciò
che si offre ai sensi senza averlo in qualche modo compreso. Nondimeno,
essendo libera di sua natura, la volontà può anche volgersi verso l’impossibile,
come vediamo nei demoni che hanno aspirato a divenire eguali alla divinità.
Perciò s’altera di continuo e si deprava con la voluttà e col dolore, cedendo alla
potenze inferiori.
Depravata in tal modo, tale appetenza fa che in se stessa nascano quattro
passioni, da cui anche il corpo è talora ossessionato, di cui la prima si chiama
dilettazione ed è una certa mollezza o arrendevolezza dello spirito o della
volontà, per cui entrambi si lasciano attrarre volentieri verso le dolcezze
promesse loro dai sensi. Perciò viene definita una. inclinazione dello spirito al
piacere che snerva e avvilisce. La seconda si chiama effusione ed è un
rilasciamento o una dissoluzione della virtù e della forza, che si produce
allorché lo spirito si abbandona per intero alla dolcezza d’un bene presente e se
ne esalta per gioirne. La terza si chiama iattanza ed è un trasporto di gioia per
l’acquisizione immaginaria o reale di qualche gran bene. La quarta e ultima è la
malevolenza ed è un certo diletto che si prova per le sventure e per i mali
altrui, senza ricavarne alcun profitto personale. Perché se alcuno si rallegra del
male altrui in vista d’un proprio vantaggio, tale sentimento proverrebbe
piuttosto da una benevolenza verso sé stesso, che da una malevolenza verso
altri.
Il dolore poi genera quattro passioni contrarie a quelle generate
dall’appetenza sregolata del piacere, ossia l’orrore, la tristezza, il timore e il
dispetto o dispiacere che si concepisce nell’osservare un bene che si rivers
Alcuni teologi credono che Dio non abbia creato dal nulla il corpo del primo
uomo, ma che si sia valso per formarlo dei cieli e degli elementi. Alcinoo, che
seguiva la dottrina di Platone, è anch’esso di tal parere e crede Iddio creatore
soprano dell’universo delle divinità e dei demoni, esse tutte che sono
immortali, mentre le divinità inferiori hanno creato il resto e tutti gli animali, i
quali, se fossero stati creati da Lui, sarebbero Stati egualmente immortali. Le
divinità minori dunque, mescolando elementi tratti dalla terra, dal fuoco,
dall’aria e dall’acqua e amalgamandoli, ne hanno composto un involucro per
l’anima, attribuendo a ciascuna caratteristica dell’anima una data parte del
corpo, come la collera al cuore e la concupiscenza al ventre, e riservando alla
testa i sensi più nobili e gli organi della parola.
I sensi si dividono in esteriori e in interiori. Gli esteriori sono cinque e ben
noti a tutti e i più puri sono quelli collocati nelle parti più elevate del Corpo.
Primo fra tutti la vista, che si esercita mercé gli occhi, posti nel luogo più
elevato del corpo e alimentati naturalmente dalla luce e dal fuoco naturale.
Seguono le orecchie, comparabili all’aria; poi le narici che occupano il terzo
posto tra l’aria e l’acqua; poi l’organo del gusto, più grossolano e affatto simile
all’acqua, infine, all’ultimo posto, il tatto che è diffuso a tutto il corpo e a cui si
attribuisce la grossolanità e la pesantezza della terra.
I sensi più puri sono quelli che, senza accostarsi troppo alle cose naturali, ne
hanno la percezione e ne restano impressionati. Tali la vista e l’udito. Anche
l’odorato funziona senza contatto immediato, ma il gusto invece non
percepisce nulla di ciò che gli è lontano. Il tatto ha le due qualità perché esso
sente i corpi che gli si avvicinano e come la vista scorge le cose da lontano,
così pure esso, con l’aiuto d’una verga o d’un bastone, percepisce senza
contatto immediato le cose dure o molli o umide. Il tatto è comune a tutti gli
animali, ma nell’uomo è più sicuro e lo stesso dicasi del gusto che nell’uomo è
più delicato. Molti altri animali però hanno gli altri tre sensi più sviluppati che
nell’uomo.
Così il cane vede ode e odora meglio dell’uomo e le linci e le aquile hanno la
vista più acuta di quella di altri animali e dell’uomo.
I sensi interiori, secondo l’opinione di Averroe, sono quattro e il primo è
detto senso comune, perché riceve raccoglie e perfeziona tutte le immagini
percepite coi sensi esteriori. Il secondo è la virtù immaginativa, che ha il
compito di ritenere le immagini ricevute dai primi sensi e di trasmetterle a una
terza specie di senso, che è la fantasia, o la forza e il potere di crescere e di
pensare. La fantasia ha il compito, una volta ricevute le immagini, di
comprenderle e di giudicarne la provenienza, confidando poi alla memoria, che
è il quarto senso interiore, le sensazioni coordinate comprese e giudicate. La
fantasia ci fa scorgere in sogno gli eventi futuri. Essa costituisce l’ultima orma
dell’intelligenza, perché, come dice Giamblico, essendo nata da tutte le forze
dello spirito, crea ogni sorta d’immagini di rassomiglianze e di atteggiamenti e
fa credere ciò che vien mostrato dai sensi e ciò che proviene dall’intendimento.
Essa riceve da tutti gli altri sensi le immagini, le riunisce, le avviva, le pone a
confronto, plasma o crea tutti i moti dell’anima, coordinando quelli esteriori con
gli interiori, e impressiona i corpi.
Tutti questi sensi hanno i loro organi nella testa. Il senso comun
abbia preteso esser il cuore l’organo generativo del senso comune; il pensiero,
o la facoltà di pensare, occupa la sommità e il mezzo del cervello e la memoria
la parte posteriore. Gli organi della voce sono multipli: l’interno del petto tra le
costole, i muscoli, il torace, il polmone, la trachea, la gola. La bocca è l’organo
generativo della parola; la lingua articola il suono con lo schiudersi dei denti e
delle labbra, a somiglianza delle corde della lira. Il naso infine contribuisce alla
formazione di un suono buono o cattivo.
Al di sopra dell’anima che esplica le sue forze per mezzo degli organi del
corpo, il posto supremo è tenuto dalla mente incorporea stessa. Tale spirito ha
due sorta di nature. L’una, che ricerca le cose contenute nell’ordine della
natura, scrutandone le cause le proprietà e i progressi, che consiste nella
contemplazione e nella ricerca della verità e che per tal motivo viene chiamata
lo spirito contemplativo. L’altra che discerne le cose da compiere o da evitare,
che non è intenta che a consultare e ad agire e che perciò vien chiamata
l’intelletto lo spirito o l’intendimento attivo.
La natura ha dunque fatto si che mercé i sensi esteriori sia possibile
conoscere le cose corporali e mercé i sensi interiori anche le similitudini dei
corpi ed infine per mezzo della mente o intelletto le cose che non sono corpi né
alcunché di simigliante a un corpo. Seguendo queste tre specie d’ordini di
possanze dell’anima, nascono nell’anima tre sorta di appetenze. La prima è
naturale ed è una certa inclinazione della natura a tendere alla sua fine, così
come la pietra tende a cadere al basso, inclinazione che si riscontra in tutte le
cose; la seconda è animale, segue i sensi e si divide in irascibile e
concupiscibile; la terza è intellettuale, si chiama volontà, è differente dal
sensitivo in quanto non esiste che per sé stessa e non appetisce nulla di ciò
che si offre ai sensi senza averlo in qualche modo compreso. Nondimeno,
essendo libera di sua natura, la volontà può anche volgersi verso l’impossibile,
come vediamo nei demoni che hanno aspirato a divenire eguali alla divinità.
Perciò s’altera di continuo e si deprava con la voluttà e col dolore, cedendo alla
potenze inferiori.
Depravata in tal modo, tale appetenza fa che in se stessa nascano quattro
passioni, da cui anche il corpo è talora ossessionato, di cui la prima si chiama
dilettazione ed è una certa mollezza o arrendevolezza dello spirito o della
volontà, per cui entrambi si lasciano attrarre volentieri verso le dolcezze
promesse loro dai sensi. Perciò viene definita una. inclinazione dello spirito al
piacere che snerva e avvilisce. La seconda si chiama effusione ed è un
rilasciamento o una dissoluzione della virtù e della forza, che si produce
allorché lo spirito si abbandona per intero alla dolcezza d’un bene presente e se
ne esalta per gioirne. La terza si chiama iattanza ed è un trasporto di gioia per
l’acquisizione immaginaria o reale di qualche gran bene. La quarta e ultima è la
malevolenza ed è un certo diletto che si prova per le sventure e per i mali
altrui, senza ricavarne alcun profitto personale. Perché se alcuno si rallegra del
male altrui in vista d’un proprio vantaggio, tale sentimento proverrebbe
piuttosto da una benevolenza verso sé stesso, che da una malevolenza verso
altri.
Il dolore poi genera quattro passioni contrarie a quelle generate
dall’appetenza sregolata del piacere, ossia l’orrore, la tristezza, il timore e il
dispetto o dispiacere che si concepisce nell’osservare un bene che si rivers
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