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Codogno

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Trail stats

Distance
11.17 mi
Elevation gain
3 ft
Technical difficulty
Easy
Elevation loss
3 ft
Max elevation
233 ft
TrailRank 
61
Min elevation
-10 ft
Trail type
Loop
Moving time
2 hours 12 minutes
Time
3 hours 44 minutes
Coordinates
2410
Uploaded
December 10, 2022
Recorded
December 2022
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near Codogno, Lombardia (Italia)

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Itinerary description

Phantasia mihi plus quam phantastica venit
historiam Baldi grassis cantare Camoenis.Altisonam cuius phamam, nomenque gaiardum
terra tremat, baratrumque metu sibi cagat adossum.
5Sed prius altorium vestrum chiamare bisognat,
o macaronaeam Musae quae funditis artem.
An poterit passare maris mea gundola scoios,
quam recomandatam non vester aiuttus habebit?
Non mihi Melpomene, mihi non menchiona Thalia,
10non Phoebus grattans chitarrinum carmina dictent;
panzae namque meae quando ventralia penso,
non facit ad nostram Parnassi chiacchiara pivam.
Pancificae tantum Musae,doctaeque sorellae,
Gosa, Comina, Striax, Mafelinaque, Togna, Pedrala,
imboccare suum veniant macarone poëtam,
dentque polentarum vel quinque vel octo cadinos.
Hae sunt divae illae grassae, nymphaeque colantes,
albergum quarum, regio, propriusque terenus
clauditur in quodam mundi cantone remosso,
quem spagnolorum nondum garavella catavit.Apri il menu principale
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Maggioriano
imperatore romano
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Giulio Valerio Maggioriano[2] (in latino: Iulius Valerius Maiorianus; 420 circa – Tortona, 7 agosto 461) è stato un imperatore romano d'Occidente dal 457 al 461.

Maggioriano
Augusto dell’Impero romano d'Occidente
Solidus Majorian Ravenna (obverse).jpgDiritto di un solido di Maggioriano
Nome originale
Giulio Valerio Maggioriano
Regno
1º aprile 457 –
2 agosto 461
Nascita
420 circa
Morte
7 agosto 461
Tortona[1]
Predecessore
Avito
Successore
Libio Severo
Consolato
457
«[La figura di Maggioriano] presenta la gradita scoperta di un grande ed eroico personaggio, quali talvolta appaiono, nelle epoche degenerate, per vendicare l'onore della specie umana.»

(Edward Gibbon, Storia del declino e della caduta dell'Impero romano, capitolo xxxvi, s.a. 457)
Comandante militare di un certo successo, salì al trono dopo aver deposto l'imperatore Avito. Il suo regno fu caratterizzato da una politica estera volta a restaurare il controllo romano sulle province perdute – in particolare Gallia, Hispania e Africa – e da una politica interna avente lo scopo di risollevare le finanze imperiali, garantendo al contempo equità e giustizia.

Il suo tentativo fu frustrato dai tradimenti: di alcuni suoi soldati, che causarono la perdita della flotta radunata per riprendere l'Africa ai Vandali, e del suo generale Ricimero, che lo catturò e lo uccise. Fu l'ultimo imperatore capace di tentare di risollevare le sorti dell'Impero romano d'Occidente con le proprie risorse: gli imperatori che gli succedettero fino alla caduta dell'impero nel 476/480 non ebbero il potere effettivo, ma furono strumenti di potere di generali di origine barbarica o imposti e appoggiati dalla corte d'Oriente.

Biografia
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Origini
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Maggioriano proveniva dall'aristocrazia militare: il suo omonimo nonno materno fu il magister militum di Teodosio I e, in qualità di comandante delle truppe dell'Illirico, assistette all'elevazione al trono dell'imperatore a Sirmio, nel 379. La figlia del magister militum Maggioriano sposò poi un ufficiale, probabilmente di nome Donnino,[3] che si occupava di finanze nell'amministrazione di Ezio, magister militum d'Occidente, cui diede un figlio, chiamato Maggioriano in onore del nonno.[4]


Placidia era la figlia dell'imperatore Valentiniano III, il quale intendeva darla in sposa a Maggioriano (450 circa); questo matrimonio avrebbe indebolito la posizione del potente magister militum d'Occidente, Ezio, il quale allontanò Maggioriano dal proprio stato maggiore e costrinse l'imperatore ad abbandonare i propositi di accogliere nella propria famiglia il giovane ufficiale.
Maggioriano incominciò la carriera militare proprio sotto Ezio,[5] in Gallia, assieme a due ufficiali di origine barbara che avrebbero successivamente ricoperto posti di rilievo nell'amministrazione imperiale, il suebo-visigoto Ricimèro[6] e il gallo Egidio.[7] Maggioriano si distinse particolarmente per la difesa della città di Turonensis (Tours) e in uno scontro con i Franchi di re Clodione presso un luogo chiamato Vicus Helena[8] (447 o 448), in cui svolse un ruolo di primo piano: mentre Ezio controllava la via d'uscita, Maggioriano combatté personalmente tra i ranghi della cavalleria sotto il suo comando sul vicino ponte.[9]

Intorno al 450, l'imperatore d'Occidente Valentiniano III prese in considerazione la possibilità di dare in sposa la propria figlia minore Placidia proprio a Maggioriano. L'imperatore non aveva figli maschi e sperava quindi che questo giovane comandante mettesse fine alla successione di potenti generali che intendevano controllare l'imperatore (tra cui lo stesso Ezio); Maggioriano avrebbe avuto infatti la capacità di condurre di persona l'esercito romano, e risolvere contemporaneamente il problema della successione. Questo proposito, sebbene indirizzato a prevenire o limitare la conquista del potere da parte di Unerico o Attila, possibili successori di Ezio, cozzava col desiderio del generale di imparentarsi con la famiglia imperiale: Ezio pose quindi fine alla carriera militare di Maggioriano, allontanandolo dal proprio seguito e costringendolo a ritirarsi nella sua proprietà in campagna.[10] Solo nel 454 Maggioriano tornò alla vita pubblica, quando, dopo aver ucciso Ezio con le proprie mani, Valentiniano III lo chiamò a sedare i malumori delle irrequiete truppe fedeli al magister militum assassinato.[11]

Nel 455 Valentiniano III fu assassinato a sua volta e si aprì la lotta per la successione. Maggioriano vi ebbe il ruolo di candidato di Licinia Eudossia, la vedova dell'imperatore, e del proprio amico Ricimero, che puntava a divenire il nuovo Ezio.[12] Alla fine fu eletto imperatore il senatore Petronio Massimo, che costrinse Eudossia a sposarlo e nominò Maggioriano comes domesticorum («conte dei domestici», cioè comandante della guardia imperiale), forse a parziale compensazione.[13]

Petronio morì in occasione del sacco di Roma (maggio 455) da parte dei Vandali: se Maggioriano ebbe delle velleità di succedergli al trono, queste furono frustrate dall'elezione ad Augusto del nobile gallo-romano Avito, che godeva del sostegno delle truppe dei Visigoti. I due uomini forti dell'impero, Maggioriano e Ricimero, sostennero inizialmente il nuovo sovrano, ma quando l'appoggio dei Visigoti svanì, decisero di rovesciare l'imperatore, il quale già in agosto aveva perso il sostegno del Senato romano e si era ritirato ad Arelate, fulcro del suo potere. Nel settembre 456 Ricimero e Maggioriano si mossero con l'esercito verso Ravenna e, nei pressi della città, sorpresero e uccisero Remisto, il magister peditum di Avito; poi le truppe di Ricimero e Maggioriano si mossero verso nord, incontro all'esercito che Avito aveva raccolto ad Arelate, e nei pressi di Piacenza lo sconfissero. Maggioriano e Ricimero risparmiarono la vita di Avito, che fu però costretto a rinunciare alla porpora e a prendere i voti; Avito cercò però di fuggire verso Arelate, fu raggiunto da Maggioriano e si rifugiò in un santuario, che Maggioriano assediò causando la morte di Avito, forse per fame (inizio 457).[14][15]

Ascesa al trono
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Leone I, imperatore d'Oriente, riconobbe l'elezione di Maggioriano al trono imperiale solo dopo nove mesi, il 28 dicembre 457.
Dopo la morte di Avito, Maggioriano non avanzò formalmente la propria candidatura alla porpora imperiale, se ne aveva l'intenzione: formalmente spettava al sovrano d'Oriente, che all'inizio del 457 era Marciano, designare il proprio collega d'Occidente. Marciano non poté nominare un collega, perché morì il 26 gennaio 457; a succedergli fu nominato un generale, Leone I, il quale non scelse il nuovo imperatore d'Occidente, forse allo scopo di regnare da solo.[16] Leone decise, però, di compensare in qualche modo Maggioriano e Ricimero: il primo fu infatti nominato magister militum, il secondo patricius e magister militum (28 febbraio 457).[17]

L'unico evento di rilievo accaduto dopo la nomina a magister fu l'invasione dell'Italia da parte di 900 Alemanni, che dalla Rezia penetrarono fino al Lago Maggiore: qui si scontrarono con il contingente del comes Burcone, inviato dal proprio magister militum Maggioriano, e furono sconfitti nella battaglia dei Campi Cannini.[18] La vittoria fu attribuita a Maggioriano stesso, che l'esercito acclamò Augusto il 1º aprile, a sei miglia da Ravenna, in un luogo chiamato ad Columellas.[17] La scelta dell'imperatore tra i candidati Maggioriano e Ricimero era in realtà obbligata, in quanto l'origine barbarica del secondo gli precludeva la porpora imperiale; non di meno Ricimero riteneva di poter esercitare un'enorme influenza sul nuovo augusto, sia in virtù degli antichi legami incominciati quando avevano entrambi servito sotto Ezio, sia in forza del controllo esercitato sull'esercito in qualità di magister militum.

Sebbene il panegirista Sidonio Apollinare affermi che Maggioriano inizialmente rifiutò l'acclamazione,[18] si ritiene che in realtà fosse stato Leone a non riconoscere immediatamente il nuovo Augusto d'Occidente. Va anche considerato, però, che Maggioriano era per Leone l'unico candidato alla porpora accettabile: da una parte la deposizione di Avito non era certamente stata vista negativamente dalla corte orientale, dall'altra l'unico candidato alternativo, Anicio Olibrio, aveva un indesiderabile legame di parentela con il sovrano vandalo Genserico e non aveva il sostegno dell'esercito come Maggioriano. A indizio del ritardo nel riconoscimento di Maggioriano da parte di Leone,[19] va segnalato che la sua elevazione al trono è registrata in alcune fonti solo il 28 dicembre[20] e che Maggioriano esercitò il proprio primo consolato, assieme a Leone I, nel 458: era infatti consuetudine che un nuovo imperatore fosse console per il primo anno incominciato essendo già augusto.[4]

Politica estera
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L'11 gennaio 458 Maggioriano fece leggere il proprio messaggio al Senato romano, in cui esprimeva il manifesto del proprio regno. Dal tenore di questo messaggio si comprende come l'intenzione di Ricimero e del nuovo sovrano fosse di regnare insieme, Maggioriano in qualità di imperatore e Ricimero come magister militum e patricius.[21]

Difesa dell'Italia
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Uno dei primi compiti che il nuovo imperatore si trovò ad affrontare fu quello di consolidare il dominio sull'Italia e riprendere il controllo della Gallia, che gli si era ribellata dopo la morte dell'imperatore gallo-romano Avito; i tentativi di riconquista della Hispania e dell'Africa erano progetti in là nel futuro.

Nell'estate del 458 un gruppo di Vandali e di Mauri[22] guidato dal cognato di Genserico sbarcò in Campania alla foce del Liri o del Garigliano e devastò la regione, saccheggiandola: la minaccia fu debellata dall'intervento dell'esercito imperiale, comandato da Maggioriano in persona, che sconfisse i Vandali nei pressi di Sinuessa e li inseguì, mentre erano appesantiti dal bottino, fino alle navi, uccidendone molti, tra cui il comandante.[23] Maggioriano capì che doveva prendere l'iniziativa e difendere il cuore del suo impero, l'unico territorio effettivamente in suo possesso, rafforzandone le difese.

Innanzitutto ripristinò una legge di Valentiniano III riguardo alla possibilità di portare le armi e l'obbligo per i civili di difendere le città della costa dagli attacchi provenienti dal mare;[22] si tratta della Novella Maioriani 8, altrimenti nota come De reddito iure armorum («Ritorno del diritto di portare armi»), che riprendeva una legge omonima di Valentiniano del 440, la Novella Valentiniani 9, promulgata anche questa dopo un attacco dei Vandali; probabilmente sempre allo stesso periodo risale la legge nota come De aurigis et seditiosis («Aurighi e sediziosi»), la Novella Maioriani 12, contro i disordini in occasione delle gare di carri: entrambe le leggi non sono pervenute.[4] Come seconda disposizione si curò di rinforzare l'esercito, assoldando un forte contingente di mercenari barbari; tra questi c'erano Gepidi, Ostrogoti, Rugi, Burgundi, Unni, Bastarni, Suebi, Sciti e Alani.[24] Infine riorganizzò due flotte, probabilmente quelle di Miseno e Ravenna, in quanto i Vandali erano forti per mare.[25]

Conquista della Gallia
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L'Impero romano d'Occidente sotto Maggioriano. Si noti come l'Illirico fosse solo nominalmente sotto il dominio dell'imperatore, mentre il potere effettivo era tenuto dal comes Marcellino; anche la Gallia e parte dell'Hispania erano di fatto, all'inizio del regno di Maggioriano, fuori dal controllo dell'imperatore, in quanto occupate dai Visigoti.
Si rivolse poi alla Gallia, che aveva rifiutato di riconoscerlo come il successore dell'imperatore gallo-romano Avito. È noto infatti come vi fosse nata una congiura con un tentativo di usurpazione;[26] la Prefettura del pretorio delle Gallie era stata poi assunta da Peonio (membro della congiura) senza il consenso del governo centrale; una delegazione della città di Lione, la quale si era lasciata occupare dai Burgundi di re Gundioco alla morte di Avito, si rivolse all'imperatore d'Oriente per avere l'esenzione dalle tasse; i Visigoti di Teodorico II penetrarono nella Gallia dall'Iberia e puntarono su Arelate.[27] È poi significativo un'iscrizione del 458 ritrovata in Gallia fu datata col solo consolato di Leone I;[28] tipicamente le iscrizioni venivano datate con l'indicazione dei due consoli in carica per l'anno: il fatto che questa iscrizione, a Lione, portasse il nome di Leone ma non quello di Maggioriano mostra come solo il primo venisse riconosciuto come imperatore legittimo.[29]

Maggioriano inviò in Gallia il suo generale Egidio, che liberò Lione e la sua regione dai Burgundi ed entrò poi ad Arelate; qui fu messo sotto assedio dai Visigoti. Nel tardo 458 Maggioriano portò il suo esercito, rafforzato da un contingente di barbari, in Gallia:[30] l'imperatore condusse personalmente l'azione, lasciando persino Ricimero in Italia e avvalendosi della collaborazione magister militiae Nepoziano. L'attacco imperiale ruppe l'assedio dei Visigoti contro Arelate, costringendoli a ritornare nella condizione di foederati e di riconsegnare la diocesi di Spagna, che Teodorico aveva conquistato tre anni prima a nome di Avito; l'imperatore mise il proprio ex-commilitone Egidio a capo della provincia, nominandolo magister militum per Gallias e inviò dei messi in Hispania ad annunciare la propria vittoria sui Visigoti e l'accordo raggiunto con Teodorico.[31] Con l'aiuto dei suoi nuovi foederati, Maggioriano penetrò nella valle del Rodano, conquistandola sia con la forza sia con la diplomazia:[32] riprese Lione dopo un assedio, condannando la città a pagare una forte indennità di guerra, mentre i Bagaudi furono convinti a schierarsi con l'impero.[4]

Una volta ripreso il controllo della parte dell'impero che più aveva osteggiato la sua ascesa al potere, Maggioriano dimostrò però che la sua intenzione era quella di riconciliarsi con la Gallia, malgrado la nobiltà gallo-romana avesse preso le parti di Avito: significativo è il fatto che il poeta Sidonio Apollinare, genero di Avito e colpevole di aver accolto i Burgundi nelle sue proprietà, ottenesse di poter declamare un panegirico all'imperatore[33] (inizio di gennaio 459), forse grazie all'intercessione del magister epistularum Pietro,[4], ricevendo probabilmente in cambio il titolo di comes spectabilis; a Peonio fu confermata la carica e gli fu garantita la promozione quando fu poi congedato; sicuramente molto più efficace fu la concessione della esenzione dalle tasse alla città di Lione,[34] e il mantenimento dei nobili gallici negli incarichi più prestigiosi dell'amministrazione imperiale.[35]

Contro Visigoti e Vandali
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Il passo successivo fu l'attacco contro i Visigoti, che avevano occupato la Spagna approfittando della confusione seguita al sacco di Roma (455); la Spagna avrebbe poi fornito la base per l'offensiva contro i Vandali, che tenevano la provincia più ricca dell'Impero d'Occidente, quell'Africa che era anche fonte della fornitura di grano per la città di Roma. Lo storico Procopio di Cesarea racconta che Maggioriano, volendo scoprire il grado di preparazione militare dei Vandali, si tinse di nero i capelli biondi per cui era famoso e, fingendosi un ambasciatore, andò personalmente dal re vandalo Genserico in Africa, dove gli furono mostrate le armi dei barbari;[36] al di là della veridicità di questo episodio (non si può non notare che Procopio stesso racconta un episodio simile riguardo allo stesso Genserico e Marciano), è vero che Maggioriano si premurò di curare attentamente la spedizione, raccogliendo informazioni sul nemico e organizzando una flotta di trecento navi,[37] costruite in Italia,[38] con compiti di sostegno alla conquista della Spagna e di invasione dell'Africa.[4]

Fu probabilmente in questa occasione che inviò il comes e patricius occidentis Marcellino in Sicilia, a invadere l'isola occupata dai Vandali con un esercito di Unni. Marcellino era il comes rei militaris (governatore) della provincia dell'Illiria, ma di fatto, a partire dalla morte di Flavio Ezio, si era reso indipendente grazie al controllo di un forte esercito, non riconoscendo l'autorità imperiale: Maggioriano era riuscito a convincerlo a riconoscere nuovamente l'autorità dell'imperatore e persino a collaborare militarmente agli sforzi dell'Impero.[39]

Dopo dei preparativi iniziali durati tutto il 459 sotto il comando di Nepoziano e del comes goto Sunierico e volti contro i Suebi, Maggioriano raccolse dunque l'esercito in Liguria e incominciò l'occupazione della Spagna, passando dall'Aquitania e dalla Novempopulana e provenendo dunque dalla corte di Teodorico a Tolosa (maggio 460). Nel frattempo Genserico, temendo l'invasione romana, cercò di negoziare una pace con Maggioriano, il quale la rifiutò; il re dei Vandali decise allora di distruggere tutte le fonti di approvvigionamento nella Mauretania, in quanto riteneva che quello fosse il luogo dove Maggioriano e il suo esercito sarebbero sbarcati per invadere l'Africa, e fece fare delle incursioni alla propria flotta nelle acque vicine alla zona di sbarco.[32] Intanto Maggioriano stava conquistando la Spagna: mentre Nepoziano e Sunierico sconfiggevano i Suebi a Lucus Augusti e conquistavano Scallabis in Lusitania, l'imperatore passò da Caesaraugusta (Saragozza), dove fece un adventus imperiale formale,[40] e aveva raggiunto la Cartaginense, quando la sua flotta, attraccata a Portus Illicitanus (vicino a Elche), fu distrutta dai Vandali,[41] per mano di traditori.[42]

Maggioriano, privato di quella flotta che gli era necessaria per l'invasione, non poté portare l'attacco contro i Vandali e si mise sulla via del ritorno.[42] Lungo la strada, ricevette gli ambasciatori di Genserico con la proposta di una pace,[42] che probabilmente prevedeva il riconoscimento romano dell'occupazione de facto della Mauretania da parte vandala, dato che una fonte romana la definisce «disonorevole»;[43] Maggioriano accettò i termini di questa intesa, forse in quanto la coalizione di cui era a capo era stata indebolita dalla perdita della flotta.[4] Sulla via per l'Italia l'imperatore si fermò ad Arelate.[44]

Politica interna
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La politica interna di Maggioriano è meglio nota di quella degli altri imperatori della sua epoca in quanto alcune sue leggi, note come Novellae, furono copiate in un'opera intitolata Breviarium e compilata da giuristi gallo-romani nel 506 per volere del re dei Visigoti Alarico II.[4][45]

Novella Maioriani 1, De ortu imperii domini Majoriani Augusti, discorso inaugurale del suo regno rivolto al Senato romano (Ravenna, 11 gennaio 458)
Novella Maioriani 2, De indulgentiis reliquorum, sulla remissione dei debiti pregressi (Ravenna, 11 marzo 458)
Novella Maioriani 3, De defensoribus civitatum, sulla figura del defensor civitatum (Ravenna, 8 maggio 458)
Novella Maioriani 4, De aedificiis pubblicis, sulla conservazione dei monumenti di Roma (Ravenna, 11 luglio 458)
Novella Maioriani 5, De bonis caducis sive proscriptorum, sui funzionari che trattengono per sé le tasse raccolte
Novella Maioriani 6, De sanctimonialibus vel viduis et de successionibus earum, sulle donne che prendono i voti e le loro eredità (Ravenna, 26 ottobre 458)
Novella Maioriani 7, De curialibus et de agnatione vel distractione praediorum et de ceteris negotiis, sui decurioni e sul denaro da accettare per le tasse (Ravenna, 6 novembre 458)
Novella Maioriani 8, De reddito iure armorum, sul diritto a portare le armi
Novella Maioriani 9, De Adulteriis, conferma che gli adulteri devono essere messi a morte (Gallia, 17 aprile 459)
Novella Maioriani 10, di cui rimane solo l'inizio
Novella Maioriani 11, De episcopali iudicio et ne quis invitus clericus ordinetur vel de ceteris negotiis, sulle ordinazioni forzate per questioni ereditarie (Arles, 28 marzo 460)
Novella Maioriani 12, De aurigis et seditiosis, di cui rimane solo il titolo
La legislazione di Maggioriano andò quindi a toccare una serie di argomenti estremamente rilevanti, di ordine sociale ed economico: l'Augusto si occupò di regolare le tasse e i relativi procedimenti di esazione (Novella Maioriani 2 e 5), il ruolo dei curiali e gli abusi dei funzionari (Novella Maioriani 3, 5 e 7), sulle questioni ereditarie legate alla Chiesa (Novella Maioriani 6 e 11). I provvedimenti di Maggioriano si rifacevano all'indirizzo legislativo impartito da Valentiniano e da personaggi della corte legati a Ezio e alla gens Anicia, e volti a implementare un'amministrazione fiscale che fosse più equa e che difendesse i curiali dallo strapotere dei palatini;[46] questo ovviamente non poté far piacere agli esponenti dell'altra fazione principale della politica italica del V secolo, la gens Decia, il cui maggiore esponente, Cecina Decio Basilio, ricopriva l'importante carica di Prefetto del pretorio d'Italia.[47]

Politica fiscale e monetazione
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Tremisse coniato da un sovrano visigoto a nome di Maggioriano: la moneta fu coniata ad Arelate tra il 457 e il 507 dai Visigoti, ma recava l'effigie e il nome dell'imperatore romano, corrotto in iviivs haiorianvs. Queste monete, coniate dai Visigoti a imitazione delle monete imperiali, contenevano meno oro degli originali; per questo motivo, probabilmente, Maggioriano decretò che gli esattori delle tasse dovessero accettare tutte le monete d'oro al loro valore nominale, tranne quelle galliche, di valore inferiore[48]
A differenza dei suoi predecessori, Maggioriano comprese che avrebbe potuto governare efficacemente solo con l'appoggio della aristocrazia senatoriale, cui intese restituire un ruolo di rilievo; contemporaneamente, l'imperatore volle anche contenerne gli abusi, in quanto molti senatori erano ormai abituati a coltivare il proprio potere locale a scapito del potere centrale, giungendo persino a non pagare le tasse e a non rimettere allo stato centrale quelle riscosse. Questo atteggiamento danneggiava tutto l'apparato statale, poiché il peso delle tasse ricadeva sui possidenti terrieri di rango inferiore, sui cittadini e sui funzionari locali, come i decurioni, responsabili di rifondere tutte le tasse non esatte, portando a un fenomeno di abbandono della carica cui aveva già dovuto fare fronte l'imperatore Giuliano (361–363). Del resto, dato l'elevato credito fiscale pregresso, l'imperatore era cosciente del fatto che una politica di rigore nell'esazione delle tasse non avrebbe avuto successo senza un condono che cancellasse gli enormi debiti dell'aristocrazia con l'erario statale.[4]

L'11 marzo 458 fu promulgata la Novella Maioriani 2, intitolata De indulgentiis reliquorum («Remissione dei debiti pregressi»), una legge con la quale l'imperatore rimise tutti i debiti fiscali maturati fino al 1º gennaio di quell'anno da parte dei proprietari terrieri; la stessa legge toglieva il diritto di esigere le tasse a tutti gli ufficiali pubblici, che avevano dimostrato di tenere per sé la maggior parte delle tasse raccolte, riconsegnandolo ai soli governatori. Anche la successiva Novella Maioriani 5, prom

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